In questa cappella, nascosta in un paesino del nord Italia, ogni dettaglio narra la sua poesia. Un inno sommesso alla bellezza dell’abbandono, dove fede e polvere convivono in un silenzio sacro e immutabile come se avessero stretto un patto segreto.
L’altare, ancora custode di un muto rituale, ospita candelabri dorati che riflettono debolmente una luce antica, come un ricordo ormai sfumato.

Le panche, annerite dal tempo, sembrano sorreggere un peso invisibile, forse quello delle preghiere mai finite mentre le note di spartiti ingialliti giacciono abbandonate su una panca, come se una mano invisibile avesse smesso di suonare in un tempo sospeso. Le melodie non suonate sembrano fluttuare nell’aria, note mai udite, che però vibrano ancora nell’anima del luogo, intrecciate alla solennità dell’ambiente
I candelabri, appesi come reliquie al soffitto, oscillano appena, come se ancora volessero illuminare i passi di un fedele che non tornerà. Le pareti, segnate dal tempo, raccontano storie silenziose, e in questa solitudine echeggia la memoria di voci perdute, di canti antichi e di speranze ormai dissolte.

